(Trilogia d’autunno, Ravenna Festival 2025)
Chi non ricorda ‘L’Orlando furioso’, il poema cavalleresco dedicato a Ippolito d’Este, cardinale e signore di Ferrara, presso cui Ludovico Ariosto, l’autore, era al servizio? Chi ne dimentica la trama e le principali vicende: le guerre tra cristiani e saraceni, l’amore di Orlando per Angelica e la sua follia, l’amore tra Ruggiero e Bradamante (figure da cui discende la casa d’Este?
Come si racconta, Orlando (Rolando), valente e intrepido paladino dell’esercito di Carlo Magno, si innamorò perdutamente di Angelica, principessa del Catai, a sua volta innamorata di Medoro (umile fante saraceno) di cui era invaghita anche la pastorella Dorinda. Il paladino non riuscì ad accettare quella che sentì come una vera e propria umiliazione e il dolore che ne derivò, lo fece sprofondare nell’abisso della pazzia. Se non portò a termine una carneficina, fu soltanto per merito dell’amico Astolfo che recuperò il suo senno sulla luna.
Sarà invece il mago Zoroastro a venirgli in aiuto, nell’opera di Georg Friedrich Händel (Halle,1685- Londra,1759), presentata al Teatro ‘Alighieri’ di Ravenna (12 e 14 novembre ore 20) in seno alla Trilogia d’autunno del Ravenna Festival 2025 a cui seguono ‘Alcina’ (13 e 15 novembre) e ‘Messiah’ (16 novembre ore 17), fra le opere più famose del musicista tedesco (naturalizzato inglese).
‘Quel che l’uom vede, Amor gli fa invisibile, e l’invisibile fa vedere Amore’ recita il titolo della Trilogia: com’è noto, l’amore ha il potere di distorcere la percezione della realtà, rendendo invisibile ciò che è davanti ai nostri occhi e, al contrario, facendoci apparire cose e situazioni inesistenti.
Mentre nel 2024 la Trilogia ha rivolto l’attenzione agli eroi erranti in cerca di pace (‘Il ritorno di Ulisse in patria’ di Monteverdi, e ‘Dido and Aeneas’ di Purcell), quest’anno gli eroi in scena ‘sono colti nel lato più fragile della loro umanità, esposti al potere dell’amore che toglie il lume della ragione e a quello della magia che ne sconvolge gli intenti. Si tratta di eroi che nella follia riescono ad andare oltre il peso materiale del vivere, a trascendere il reale fino a comprenderlo nella sua essenza e ad immaginare quel mondo ideale, forse irraggiungibile ma motore di ogni progresso’, come riportano le note illustrative del Festival.
Il nuovo allestimento a cura di Pier Luigi Pizzi per quanto concerne regia, scene e costumi (con assistenza d Marco Berriel, Serena Rocco e Lorena Marin, progetto luci di Oscar Frosio e editing video di Matteo Letizi) ha incontrato fin da subito il favore del pubblico (il mio in particolare). Le scene sono semplici (per gran parte pareti lineari e specchi deformanti) ma di grande effetto, i costumi eleganti e senza fronzoli : per le dame abiti color bianco e oro guarniti di guanti oltre il gomito, per i cavalieri pantaloni e gilet in pelle color nero. Predomina il viola (specie nei mantelli) che fa pendant con il verde e l’oro dei boschi all’alba.
‘La tecnologia è la nuova macchina barocca che ci porta con magica rapidità in luoghi diversi. Per le immagini di Orlando mi sono ispirato a Giacomo Torelli, il grande protagonista della scenografia barocca: tutto quello che si vedrà è parte della natura, alberi, prati, boschi, architetture arborescenti e un labirinto di siepi, dove ci si perde. In Alcina si respirerà un clima diverso, dominato dalla magia’ – ha raccontato Pizzi alla stampa, aggiungendo di aver immaginato i due allestimenti come un progetto unico, utilizzando lo stesso dispositivo scenico con varianti per ogni singola opera, ma mantenendo la stessa linea interpretativa.
‘La coerenza è ancor più necessaria quest’anno, perché le due opere provengono dalla stessa fonte, il poema cavalleresco di Ludovico Ariosto, in stretta parentela di linguaggio poetico. Nei due episodi la storia è piuttosto scarna e l’azione è ridotta al minimo, ma attraverso la musica di Händel la narrazione si arricchisce di continue seducenti proposte- ha precisato, sempre sorridente e in gran forma nonostante i suoi 95 anni.
Unanime consenso (non avrebbe potuto essere altrimenti) è stato riservato all’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone (solista al clavicembalo), ensemble specializzato nell’esecuzone del repertorio musicale del XVII e XVIII secolo su strumenti originali, capace di ‘leggere la partitura con gli occhi di chi sa cogliere e riconoscere le suggestioni che il compositore aveva immaginato e voleva lasciarci’.
Silenzio assoluto in sala per l’attesissima compagnia di canto che racchiude giovani con belle voci e grande professionalità, tutti apparsi a proprio agio nel ruolo ricoperto: il controtenore Filippo Mineccia (Orlando), il controtenore Elmar Hauser (Medoro), il soprano Francesca Pia Vitale (Angelica), il baritono Christian Senn (Zoroastro) e il soprano Martina Licari (Dorinda) a cui va il mio apprezzamento particolare. Un Amore birichino (Giacomo Decol) occhieggia malizioso tra gli alberi, fil rouge tra le due opere.
Lunghi e prolungati gli applausi finali: molti gli stranieri presenti in sala (circa il 20%) tra cui francesi, inglesi, austriaci e giapponesi, ‘confermando ancora una volta come l’appendice autunnale del Ravenna Festival rappresenti un potente motivo di attrazione per il turismo culturale nazionale e non’- ha commentato il Sovrintendente Antonio De Rosa.
Nato nello stesso anno di Johann Sebastian Bach e Domenico Scarlatti, Händel è considerato uno dei più grandi compositori del tardo barocco e in assoluto della storia della musica. Trascorse la maggior parte della sua carriera a Londra dove ‘Orlando’ (HWV 31), opera seria in tre atti, fu scritta e rappresentata il 27 gennaio 1733 per il King’s Theatre, con Francesco Bernardi (famoso castrato dell’epoca) noto con il soprannnome di Senesino, nel ruolo del titolo.
Come sopra riportato, il testo trasse spunto dal poema dell’Ariosto (pubblicato per la prima volta nel 1516 a Ferrara), nonché dal libretto ‘L’Orlando overo la gelosa pazzia’ di Carlo Sigismondo Capece per l’opera di Domenico Scarlatti (Roma, 1711). Non si conosce il nome dell’adattamento del libretto dell’opera händeliana ma non si può escludere (come scrive il Dizionario dell’Opera 2008, a cura di Piero Gelli, Baldini Castoldi Dalai editore, Firenze 2008) che sia stato il compositore stesso ad occuparsene.
In ‘Orlando’ Händel tornò a misurarsi con l’atmosfera fantastica dei poemi cavallereschi a distanza di 18 anni da ‘Almadigi di Gaula’ (1715), iniziando una sorta di trittico ariostesco che sarebbe stato completato due anni dopo con ‘Ariodante’ e ‘Alcina’ (1735).
Alla prima rappresentazione, l’opera piacque più alla critica che al pubblico. Seguirono dieci repliche che vennero sospese per l’indisposizione di un cantante, forse ‘un segno del deteriorarsi dei rapporti tra il compositore e il Senesino, che infatti di lì a poco sarebbe passato alla rivale Opera of the Nobility’, come riporta il su-citato Dizionario. Probabilmente il cantante ‘non era soddisfatto del ruolo difficile e inconsueto di Orlando che prevedeva soltanto tre arie col ‘da capo’ (le più attese dal pubblico, n.d.r.) e quindi non lasciava grande spazio all’improvvisazione e alla dimostrazione delle capacità virtuosistiche’.
Dimenticata per quasi due secoli fino al 1922 (Händel-Fest di Halle, in traduzione tedesca e arrangiamento di Hans Joachim Moser), l’opera fu ripresa negli anni Ottanta in diverse città europee e americane, tra cui a Venezia (1985) nel corso del terzo centenario della nascita dell’autore, con Marylin Horne nel ruolo del protagonista.
Ora è ritenuta un capolavoro.
Paola Cecchini
Immagini: Ravenna Festival 2025



