Alberto Spinaci è morto in mare a Pesaro: addio al simbolo del tuffo di Capodanno

Alberto Spinaci a sinistra con il costume blu e il suo bellissimo sorriso – Foto Danilo Billi

Lui che il mare ce l’aveva dentro.
Lui che con l’amico di sempre, Alessandro Bischi, aveva raccolto l’eredità di suo padre, trasformando un gesto folle – tuffarsi in mare d’inverno a Pesaro – in una tradizione, un rito, un simbolo.
A Pesaro, in poco più di dieci anni, quel tuffo di Capodanno era diventato un appuntamento immancabile. La città si fermava, viale Trieste si bloccava, e in tanti accorrevano a vedere quegli omaccioni atermici gettarsi nell’Adriatico gelido. Sempre loro davanti, Spina e Bischi.
E ora, Spina di Pesaro non c’è più.

È successo ieri, nel pomeriggio del 28 aprile 2025.
Il mare, complice e compagno di una vita, lo ha tradito. Lo ha chiamato a sé con una carezza che si è trasformata in colpo fatale.
Un malore, forse. Forse una corrente improvvisa. Nessuno lo sa davvero.
Qualcuno, dalla spiaggia, lo ha visto al largo, chiedere aiuto. Era una giornata mite, i primi turisti già in spiaggia.
Subito sono partiti i soccorsi: la Capitaneria dal porto, un’ambulanza dalla terraferma.
Ma per Alberto Spinaci, che ogni giorno da una vita – con ogni condizione – faceva la sua nuotata quotidiana, non c’è stato nulla da fare.
Nemmeno i tentativi di rianimarlo sono riusciti a riportarlo indietro.

Se n’è andato così, a 59 anni.
Un uomo del Porto di Pesaro, di quelli veri. Di quelli che portano addosso il vento, il sale, la fatica.
Dopo la morte del padre – una ferita che non si era mai chiusa – aveva scelto di vivere per il mare Adriatico, per la madre, per la compagna.
Era un punto fermo per i Canottieri Pesaro, quelli che stanno proprio là, vicino al Moloco, sotto la Rotonda Bruscoli.
Un fisico scolpito, un sorriso largo. E quando il morale era basso, bastava un’uscita in mare per ritrovare pace, equilibrio, senso.
Ogni volta che tornava a casa dopo aver nuotato, raccontava che il mare gli aveva restituito il sorriso.

Era fiero, Spina di Pesaro. Fiero di essere stato – insieme a suo padre – uno dei primi a buttarsi il primo gennaio, quando non c’erano telecamere né folla, solo il gelo e il coraggio.
Erano in pochi, allora, e noi addetti ai lavori.
E quei tuffi erano un’impresa vera, roba da uomini di porto.
Oggi, quella tradizione è diventata popolare. Ma a quei tempi era qualcosa di intimo, quasi sacro.
Per questo, oggi, chi lo conosceva davvero piange. Piange il suo omaccione atermico, che sembrava invincibile.

Cosa sia successo davvero a Spinaci, non lo sapremo mai.
Forse il cuore. Forse il mare, che ha deciso che era il momento.
Lo ha voluto con sé, come fanno i vecchi amici quando capiscono che è l’ora di ricongiungersi.
E ha lasciato qui una scia di dolore profondo, una città intera sconvolta, tanti cuori spezzati.
Una notizia che ha colpito Pesaro e che ci ricorda quanto il mare sa dare e togliere.

Il mio ricordo si ferma qui.
Con una lacrima sul volto, e una marea di immagini nella mente.
Perché io Spina, il nuotatore di Pesaro, lo vedevo spesso.
Veniva a casa, magari solo per portarmi qualcosa da mangiare.
Era fatto così: generoso, vero, d’altri tempi.
Sotto quella scorza da uomo di roccia, c’era una sensibilità rara.
Forse non sempre compresa da tutti. Ma autentica.
La sua passione per il mare, per alcuni, era una mania. Per lui, era vita.

Ma oggi non è il giorno delle polemiche.
Oggi è il giorno del silenzio, del pianto, del ricordo.
Di quel sorriso luminoso che il mare, ieri, si è portato via.
E di quelle gesta che hanno reso speciale un semplice tuffo, fino a trasformarlo in leggenda.

Danilo Billi

Alberto Spinaci – Foto tratta dal web

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