Semplicemente un grande bolognese indimenticabile, Lucio Dalla

Nato il 4 marzo 1943, Lucio Dalla è stato uno dei più versatili interpreti della canzone italiana, alla quale, tra gli anni ‘70 e ‘80, ha decisamente donato nuova linfa vitale.

La sua morte per infarto è avvenuta a Montreux (Svizzera), il 1° marzo 2012, a pochi giorni dal suo 69esimo compleanno.

La storia di Lucio era iniziata proprio il 4 marzo 1943, data di nascita e poi anche titolo di uno dei suoi più famosi brani, meglio noto come “Gesù Bambino”.

A fare da cornice a lui e alla sua musica, la Bologna del dopoguerra, pronta a trainare l’Italia negli anni del boom.

Ma chi era Lucio Dalla?

Un ragazzino innamorato della musica che suonava il clarinetto e riusciva a passare dal repertorio popolare emiliano al jazz di New Orleans, al quale era arrivato dopo le prime esibizioni in pubblico.

Prima una breve militanza nella Reno Jazz Gang, poi l’approdo nella Second Roman New Orleans Jazz Band e infine nei Flippers, ensemble nato sotto l’egida del maestro Carlo Loffredo con, tra gli altri, Fabrizio Zampa, Massimo Catalano e Franco Bracardi.
Lucio Dalla, oltre ad essere un clarinettista, era un cantante al quale piaceva sperimentare vocalizzi estemporanei al limite della stonatura.

Scoperto da Gino Paoli, era stato avviato alla carriera di solista dal cantautore genovese che in lui aveva visto il primo cantante soul italiano.

Ma soul, jazz e canzone erano per Dalla solo ingredienti per buffi divertissement musicali, scritti quasi per gioco ma che non venivano neanche incisi su vinile perché non piacevano tanto alla gente.

Di questo Lucio non si preoccupava molto, ribelle come era, non amante della etichetta, anticonformista e decisamente non bello.

Lui proseguiva il suo percorso entrando anche in contatto con il movimento beat.

Nel 1966 eccolo al suo primo Festival di Sanremo con “Paff… bum”, di Reverberi e Bardotti, un pezzo canzonatorio ma allineato ai suoni dei tempi, che passava, però, inosservato.

Anche il suo primo album, “1999”, pubblicato sempre nel 1966, non aveva successo e nei quattro anni successivi Dalla appariva confuso, indeciso se proseguire nella sua opera di dissacrazione delle canzoni o cedere all’industria discografica.
Nel 1967 partecipava di nuovo al Festival della Canzone insieme ai Rokes con “Bisogna saper perdere”.

In seguito, alcuni suoi brani toccanti come “Lucio dove vai” e “Il cielo” riuscivano a farne emergere il talento e la sua tenacia era premiata nel 1970 dal primo successo come compositore, grazie a Gianni Morandi che incideva “Occhi di ragazza”.

All’inizio del nuovo decennio eccolo con l’album Terra di Gaibola, nel quale si esibiva con alcune delle sue canzoni più graffianti, da “Il fiume e la città” a “Non sono matto (o la capra Elisabetta)”, suo primo testo musicato da Gino Paoli, più un’efficace reinterpretazione di “Occhi di ragazza” e un paio di ballate suggestive come “Sylvie” e “Dolce Susanna”, quest’ultima composta per Ron.

Poi ancora al Festival di Sanremo del 1971, con la famosissima “Piazza Grande”, scritta insieme a Ron e al duo Gianfranco Baldazzi-Sergio Bardotti.

Era sempre del 1971 l’album “Storie di casa mia” con il trascinante singolo “4 marzo 1943”, lanciato in Brasile da Chico Buarque De Hollanda, in Francia da Dalida e in Giappone.

Una vera favola firmata da Paola Pallottino, musicata dal violinista Renzo Fontanella e interpretata da Lucio in veste di cantastorie.

Il suo Gesù Bambino tra i ladri e le puttane assomigliava molto a quello del Vangelo, ma era indigesto all’Italia bigotta dell’epoca.
Passava il tempo e Dalla era ormai pronto per il grande salto di qualità.

Così iniziava una collaborazione con il poeta bolognese Roberto Roversi, intellettuale marxista e fondatore, con Pasolini e Fortini, della rivista letteraria “Officina”, non cavalcando la tradizione della canzone popolare, ma mescolandola con linee melodiche eccentriche, suoni e rumori concreti, storie spiazzanti e interpretazioni vocali d’impronta jazzistica, tutte giocate su improvvisazioni e su cambi di registro.

L’esordio del duo avveniva nel 1973 con “Il giorno aveva cinque teste” che metteva in luce sprazzi geniali.

Nel secondo capitolo del 1975, “Anidride solforosa”, c’era ancora più affiatamento, Roversi era calato meglio nel formato-canzone e Dalla cantava con grande verve.

L’anidride solforosa simboleggiava l’annebbiamento dell’individuo, la nube tossica che faceva “vedere a malapena” le città, in un mondo sempre più robotizzato, in cui “sapremo quante volte fare l’amore e quante volte i fiumi in Italia traboccano”.

L’incubo della società industrializzata era ancora una volta il leit-motiv di brani poliedrici, in cui il lato musicale si faceva più consistente, tra cori stranianti, vocalizzi strozzati, archi impazziti, cambi improvvisi di ritmo e orchestrazioni para-jazz.

Il terzo disco “Automobili”, incappava, però, nella censura della RCA, che pretendeva l’eliminazione di due brani considerati troppo politicizzati.

Dalla, a malincuore, accettava e Roversi ritirava la firma per protesta, celandosi dietro lo pseudonimo di “Norisso”.

Nonostante tutto, il disco otteneva buoni riscontri, ma la vicenda della censura segnava il duo bolognese, così Roversi tornava alla sua attività di poeta e Dalla decideva di compiere il grande passo, cioè quello di  scrivere i testi delle sue canzoni.
Dopo questi album capolavoro, nel 1977 con “Com’é profondo il mare”, arriva il grande successo, destinato a crescere con gli album “Dalla” e “Lucio Dalla” e canzoni come: “Futura”, “Cara”, “Anna e Marco”.

Nel frattempo, insieme a Francesco de Gregori e Ron, Lucio conduceva “Banana Republic”, il tour che per la prima volta portava i grandi della musica d’autore negli stadi.

30 anni dopo, i due tornavano in tour insieme, ma senza alcun atteggiamento nostalgico, un modo d’essere totalmente agli antipodi della personalità dell’artista bolognese, che era sempre stato un personaggio imprevedibile, dotato di un senso dell’umorismo surreale e di un particolarissimo gusto per la provocazione.

Lucio Dalla è stato autore di super hit come “Attenti al lupo” e di super classici come “Caruso”, di capolavori poco compresi come “Henna”, regista di opere liriche, autore e protagonista di spettacoli tv, una sorta di nume tutelare della scena musicale bolognese, uno scopritore di talenti, un uomo animato dalla curiosità e dal gusto per la scoperta.

Adesso, dopo otto anni, ancora non si accetta che Dalla non ci sia più ed è strano constatare che la sua ultima apparizione in tv sia stata ancora una volta al Festival di Sanremo, dove era andato in veste di tutor di Pierdavide Carone.

Anche in quell’occasione Lucio aveva espresso le sue idee, criticando le giurie e anche gli interventi di Celentano.

La morte lo ha colto all’improvviso proprio a Montreux, la città che ospita uno dei festival jazz più importanti del mondo.

Il jazz, il suo grande amore da dove era cominciata la sua avventura di genio della musica.

Rosalba Angiuli

Foto elaborata da Danilo Billi

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